Nella mia esperienza di mamma poche cose mi sono riuscite con facilità come far abbandonare il pannolino a mio figlio. Per questo mi permetto di raccontarvi la mia “impresa”, nella speranza che possa servire come esempio (so che lo “spannolinamento” è uno dei momenti più temuti per molte). Innanzitutto, sarebbe di sicuro stato un incubo anche per me se non ci fosse stata Sandra.
Sandra era l’educatrice del nido che un bel giorno di giugno, quando le chiesi se mio figlio fosse pronto per togliere il pannolino (lui aveva compiuto due anni da due mesi e tutti mi consigliavano l’estate come la stagione ideale per completare l’impresa) mi disse: “Ma dice pipì e cacca quando gli scappa?”. No, il mio bambino non lo diceva, faceva senza avvisare nessuno. “Quindi vuol dire che non è pronto”. Consiglio illuminante.
Regola numero uno: essere certi che riconosca lo stimolo
Già, perché lasciare senza pannolino un bimbo che non sa riconoscere lo stimolo? Come si può sperare che non si bagni? Lo farà di sicuro, ci resterà male, si arrabbierà… Forte di questa nuova consapevolezza ho superato serenamente l’estate e a ottobre ho capito che era arrivato il momento: il mio piccolo grande uomo, ormai da un po’ di tempo avvisava sempre quando sentiva di dover fare pipì e/o popò. Ho provato qualche volta a fargli fare la pipì nel vasino e una volta anche la cacca (mi ricorderò per sempre la sua sorpresa nell’osservare il misero frutto dei suoi sforzi!). Ho comprato anche un riduttore per l’occorrenza (mossa azzeccatissima).
Poi, ho scelto un fine settimana in cui eravamo a casa tranquilli per lanciarmi nella fase finale dello spannolinamento. Sabato: due pipì addosso. Domenica: due pipì addosso. Lunedì: zero. Martedì: zero. E via così. In due magici giorni il pannolino diurno era abbandonato per sempre. Per la notte ho aspettato qualche mese, l’ho tolto quando ho visto che per molte settimane di seguito al mattino era sempre asciutto. Pannolino, bye bye forever! Il mio consiglio quindi è: non avere fretta, aspettare che i bambini siano pronti; finché non ci fanno capire che sanno riconoscere lo stimolo, non provateci neppure. E ricordate che ognuno ha i suoi tempi, non fate confronti!
Regola numero due: non insegnargli a detestare cacca e pipì
Detto ciò sono convinta di una cosa: non sarebbe stato tutto così facile se non avessi iniziato dai primi vagiti la mia personale educazione alla cacca e alla pipì. In che senso? Sono sempre stata convinta che per non avere problemi con le loro “produzioni corporee” i bambini debbano imparare a non detestarle, a non provare vergogna per ciò che producono. Quindi, non ho mai detto “che puzza!” mentre cambiavo i pannolini del mio neonato, ho sempre fatto apprezzamenti sulle “belle pisciatone” (non prendetemi in giro, per favore) e non mi sono mai lamentata con frasi dal tono “che schifo!” davanti agli allagamenti da pannolino messo male. E soprattutto, di una cosa sporca, non ho mai detto “è cacca”. Mai ho associato alla parola cacca delle facce disgustate. Mettevi nei panni di un bambino: per i primi due anni della sua vita quando cerca di perlustrare il mondo, di solito si sente dire “non toccare, è cacca” “non mettere in bocca, è cacca” e a un certo punto quella cosa indubitabilmente schifosa e intoccabile che è la cacca, scopre di produrla anche lui. Mamma e papà lo mettono sul vasino o sul water perché la faccia. E lui dovrebbe pure essere contento di farla, mostrarla, guardarla? Stessa cosa per la pipì. Beh, non deve esser semplice da accettare. Insomma, lo spannolinamento felice comincia in fasce.
Sabrina
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