Le giovani generazioni annaspano sempre più in un mare di solitudine, scarsità di rapporti nutrienti e di relazioni significative.
Manca il tempo.
Genitori e adulti in genere sono completamente assorbiti da ritmi di vita e di lavoro non congeniali ad un’efficace presa in carico dei figli. Si assiste così, da circa due decenni, a due fenomeni complementari, entrambi negativi.
Da una parte si cerca di “allocare” i figli, fin da piccolissimi, in spazi, situazioni e tempi non idonei: facendoli sostare davanti al computer o alla televisione per molte ore al giorno;
Le giovani generazioni annaspano sempre più in un mare di solitudine, scarsità di rapporti nutrienti e di relazioni significative.
Manca il tempo.
Genitori e adulti in genere sono completamente assorbiti da ritmi di vita e di lavoro non congeniali ad un’efficace presa in carico dei figli. Si assiste così, da circa due decenni, a due fenomeni complementari, entrambi negativi.Da una parte si cerca di “allocare” i figli, fin da piccolissimi, in spazi, situazioni e tempi non idonei: facendoli sostare davanti al computer o alla televisione per molte ore al giorno;
calmandoli con i videogiochi; trascinandoli a scuola di calcio, in piscina, a danza, a karatè o a lezione di pianoforte; affidandoli per interminabili ore ad una schiera di babysitter che si alternano al “lavoro” come in una catena di montaggio.
Dall’altra, quasi a compensare il senso di colpa per averli lasciati tanto soli, molti genitori offrono ai figli una quantità di merci (prevalentemente giochi tecnologici) ed un atteggiamento permissivo così elevato da stordirli, minando perfino la loro capacità di desiderare, emozionarsi, esplorare.
Assenza di relazioni costanti e significative da una parte e l’assurdo surplus di beni e merci dall’altra possono causare nei bambini e nei giovanissimi una difficoltà, dai risvolti anche neuropsicofisiologici, a costruirsi le necessarie competenze per affrontare le normali difficoltà della vita: autonomia, autostima, capacità di costruire e mantenere relazioni significative.
Può accadere che le prime frustrazioni, seppure lievi e transitorie, siano vissute con angoscia, ansia, paura di perdersi e non farcela.
Proprio nella mancata gestione di queste frustrazioni o nella difficoltà di gestire situazioni semplicemente coinvolgenti ed intense (primo amore, il corpo che cambia, la sessualità, il gruppo, gli amici) si possono generare angosce vissute da molti come insostenibili. Da qui la spinta, spesso insopprimibile, a trovare strategie lenitive e anestetici di ogni sorta.
Se a questo fenomeno si aggiunge il fatto che il mercato della droga è presente in modo capillare in ogni spazio frequentato dai giovani (scuola, discoteca, per strada, negli esercizi pubblici di ritrovo e ristoro), si capisce quanto la lotta alla droga e al disagio giovanile non possano più essere combattuti solamente con l’informazione, moniti, spot pubblicitari o sterili assemblee nelle scuole.
Che la droga e l’alcool fanno male lo sanno benissimo i nostri figli! Che ci rinuncino e ne siano immuni dipende da quanto noi adulti siamo disposti a dare loro in termini di presenza, disponibilità e autorevolezza.
Tempo (significativo) e contenimento (protettivo) sono le cose che bambini e giovanissimi chiedono ai genitori, agli insegnanti, agli adulti: il tempo, la relazione, la sintonia producono autostima e cooperazione; le regole, l’autorevolezza, le sanzioni favoriscono autonomia crescente e desiderio di realizzarsi.
Senza questi ingredienti e senza questo modo di essere e stare con i figli si corre il rischio di creare nei giovani marginalità, precarietà, esclusione, nichilismo e paura, che a loro volta possono produrre miraggi nell’avventurarsi in itinerari di vita che promettono illusorie “svolte”. La vita molti giovani se la giocano come possono: ubriacandosi, sballandosi e trovandosi immancabilmente sempre al punto di partenza.
Che fare allora?
Prevenire, certo, ma non raccontando che la droga fa male e basta.
E’ necessario invece che gli adulti comincino a porsi il problema di come potersi connettere e sintonizzarsi con le esigenze più profonde dei loro figli. Occorre una Educazione Emotiva.
Occorrono soprattutto tempo e regole.
Ecco dunque profilarsi l’impellente obiettivo di organizzare e costruire vere e proprie scuole per genitori, corsi di aggiornamento per insegnanti per (ri)formare adulti in grado di porsi all’ascolto ed essere autorevoli.
Negli ultimi anni in Italia, per far fronte alla pressante esigenza di affrontare e risolvere i tanti problemi educativi, si stanno diffondendo attività di formazione intensiva rivolte alle famiglie, strutturate appunto in vere “Scuole per genitori”. Alcune Direzioni didattiche, al fine di recuperare e di non disperdere il contributo delle famiglie al progetto educativo, stanno provando ad introdurre nell’offerta formativa programmi di supporto alla genitorialità, ma soprattutto proposte per ridurre la distanza tra le esigenze didattiche dei docenti e le aspettative delle famiglie.
L’ “impresa famiglia” e l’ “azienda scuola” sembrano infatti aver perduto l’opportunità del mutuo aiuto e sembrano aver raggiunto un tale livello di insolvenza che la bancarotta appare prossima.
Investire sulla genitorialità affinché anche la scuola possa recuperare credibilità si pone dunque come strada maestra per promuovere benessere e invertire la direzione di una tendenza estremamente pericolosa. L’“impresa famiglia” va aiutata, sostenuta e accolta.
Rosanna Schiralli, psicologa e psicoterapeuta
Rosanna Schiralli è autrice con Ulisse Mariani di Nostro figlio (Mondadori, 15 euro), consigli per aiutare i ragazzi a crescere con l’Educazione emotiva, dal concepimento all’adolescenza. Un manuale da leggere dall'inizio alla fine sul metodo portato in Italia proprio dai due autori, ma anche da consultare al bisogno, quando occorrono risposte sui tanti problemi quotidiani: alimentazione, sonno, asilo, compiti a casa, sui primi amori, orari e regole da rispettare e su tanto altro.