In passato generare figli rappresentava un fatto naturale e, con naturalezza, lo si affrontava. Nell’odierna società “avere figli” è assurto a evento da monitorare e medicalizzare nei mesi della gestazione, durante i quali madre e figlio sono un tutt’uno. Quando con il parto la creatura si separa dal corpo materno, le attenzioni proseguono in direzione della prima dimenticandosi del secondo che, troppo spesso, resta un corpo da ricucire,
rimettere in forma e, raramente, da proteggere, riscaldare, accudire a sua volta. Ma l’amore materno racchiude sempre in sé sentimenti ambivalenti di dedizione e rifiuto, di amore e odio: la totale attenzione al figlio, inoltre, obbliga a compiere delle scelte, tagliando via delle possibilità, sottraendo tempo a noi stesse. Nell’affrontare questa esperienza di dualità noi donne siamo sovente sole e impreparate, prive di quella rete di sicurezza costituita, in passato, dalla famiglia matriarcale all'interno della quale il figlio era considerato di tutte, delle nonne, delle zie, delle cugine più grandi o delle vicine di casa che intrecciavano rapporti affettivi profondi. Le cronache registrano, spesso, infanticidi commessi da madri colte da raptus che riversano sull'oggetto del loro amore, che è anche la causa del loro disagio, tutta la forza distruttiva della quale sono inconsapevolmente capaci. A volte risulta poco marcato il limite che separa il cullare dolcemente il proprio bambino, nel cuore della notte, dallo scuoterlo con violenza per mettere, finalmente, a tacere quel pianto disperato che amplifica il nostro senso di inadeguatezza. Inadeguatezza che scaturisce dalla solitudine nella quale viviamo un’esperienza che stravolge la nostra esistenza. Custodiamo in noi la capacità di dare vita ma, anche, l'incapacità di gestire al meglio i bisogni del neonato. Per uscire dalla solitudine del ristretto nucleo familiare, e sventare penose situazioni, diventa una necessità imprescindibile riconoscere i nostri limiti, chiedere aiuto senza percepirci inadeguate o sconfitte, pretendere delle attenzioni dal nostro compagno o rintracciare consigli e conforto in una moderna e tecnologica Rete di sicurezza. Solo attraverso la conoscenza della duplicità di sentimenti, che possono riposare assopiti nell'intimo di ogni madre, possiamo comprendere la reale portata dell'amore materno, sempre condizionato da quell’ambiguità che ci fa oscillare per tutta la vita dall’amore al rifiuto verso il figlio, perennemente in bilico fra l’essere madri e l’essere matrigne.
Ilaria Caprioglio
Ilaria Caprioglio, mamma di Jacopo, Edoardo e Vittoria, intransigenti
datori di lavoro, nei momenti liberi è avvocato, modella spudoratamente
plus agée e scrittrice. È autrice del saggio Senza limiti. Generazioni in fuga dal
tempo (Sironi Editore), nel quale analizza il fenomeno dell'uniformità
generazionale. Per Liberodiscrivere Edizioni ha pubblicato, fra gli altri, il
manuale di corretta alimentazione per bambini e adolescenti Mi nutro di
vita. È vice-presidente dell'associazione “Mi nutro di vita”, impegnata
nella lotta ai disturbi del comportamento alimentare, e ideatrice del 15
marzo-Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla. Promuove nelle scuole
italiane progetti di sensibilizzazione sugli effetti della pressione
mediatica. Collabora con riviste e Festival culturali.
È la testimonial della settima edizione del Festival Pe(n)sa differente, in programma a Lecce dal 12 al 14 giugno 2014, dedicato ad anoressia, bulimia, obesità e altre (in)differenze.
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