Io spero che la mamma di Yara non legga i giornali, lo spero ardentemente per lei. Da sempre questa donna se ne sta da parte, il suo viso è comparso recentemente solo in occasione di una gara intitolata alla figlia: una faccia immobile, impenetrabile, chiusa alla domanda che tutti ci facciamo: che cosa prova? Che cosa ha provato allora e che cosa prova adesso? Da quando, alcun giorni fa, si è scovato il presunto assassino della tredicenne di Brembate, scomparsa il 26 novembre del 2010 e ritrovata, purtroppo cadavere, il 26 febbraio del 2011,
la cronaca se ne occupa con dovizie di particolari. E non mi riferisco ai piccoli passi, avanti e indietro, di un’indagine che ha del fantascientifico. Ma all’insistenza con cui si riparla degli “slip”, macchiati e strappati, dei peli trovati sul corpo della bambina, della piccozza che l’avrebbe colpita a morte. Da giornalista capisco le difficoltà dei cronisti, che ogni giorno devono riempire due pagine anche se non hanno novità succose. Ma perché rovistare in questi dettagli che ci costringono a “vedere e rivedere” il corpicino martoriato? Penso naturalmente anche alla pena del papà. Ma la tragedia è avvenuta mentre il corpo di Yara sbocciava, proprio nel momento in cui tra madre e figlia si crea un’intimità particolare. È la mamma che sa cosa vuol dire avere i primi senini dolenti, è la mamma che sa come alleviare il mal di pancia mensile, perché lei ci è passata. Esattamente come un padre sa parlare al figlio adolescente da uomo a uomo, una madre parla alla sua piccola donna, si identifica con lei e viceversa. Quindi mi immagino con quanto strazio la mamma di Yara, e tutte le mamme delle ragazze violate e uccise, debbano ripensare a quel corpicino, di cui conoscevano i segreti, ora profanato ed esposto per sempre. Ce ne sarebbe da scrivere su questa vicenda e su tutte le altre (vedi i casi di Meredith e di Sarah Scazzi …) dove le prove scientifiche vengono confutate e alla fine annullate da incredibili cavilli che gli avvocati riescono a inventare. Vorrei che queste povere mamme, e naturalmente questi poveri papà, avessero giustizia. E delle loro figlie conservassero solo la bellezza, i sogni e i sorrisi. Punto.
Cipriana Dall’Orto, giornalista
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