Era il 20 novembre 2012 il giorno in cui s’impiccò mio figlio.
Perso nel buio del suo silenzio e di una stanza. Risucchiato nella voragine di un delirio che lo ha reso onnipotente di fronte al suo destino, rendendosi artefice malevolo dello stesso… mutandolo.
Prima di quel momento, solo parole. Tante dette, alcune soffocate, altre inascoltate, alle volte distorte o disattese, pure strumentalizzate. Più o meno articolate, tutte come un’arma di cui, spesso, è facile disfarsi, se costituente il corpo di reato.Eppure possono violentare, deturpare e uccidere…
Era il 20 novembre 2012 il giorno in cui s’impiccò mio figlio.
Perso nel buio del suo silenzio e di una stanza. Risucchiato nella voragine di un delirio che lo ha reso onnipotente di fronte al suo destino, rendendosi artefice malevolo dello stesso… mutandolo.
Prima di quel momento, solo parole. Tante dette, alcune soffocate, altre inascoltate, alle volte distorte o disattese, pure strumentalizzate. Più o meno articolate, tutte come un’arma di cui, spesso, è facile disfarsi, se costituente il corpo di reato.Eppure possono violentare, deturpare e uccidere…
Una morte assurda; come tante volute, in luoghi e tempi differenti, da adolescenti diversi che straziano famiglie e interrogano collettività mentre pagine di cronaca nera, più o meno ampie, tristemente ci raccontano di giovani uniti dalla stessa solitudine e dal peso di un’angoscia che li ammazza.
Morti già prima dell’esalazione dell’ultimo respiro, quando, in vita, confidano il segreto del loro intimo malessere ad un altrettanto intimo silenzio. Di quelli che nessuno sente.
Diventa, allora, un dovere di tutti saperlo cogliere - soprattutto - con interventi concreti.
Fu costruita una pagina facebook dove mio figlio era etichettato come “il ragazzo dai pantaloni rosa” che venne chiusa - su disposizione dell’ OSCAD - immediatamente dopo la tragedia, perché contenenti frasi offensive a sfondo omofobo.
Per quello che può importare, mio figlio non era gay.
Per la Procura, il mio Andrea si sarebbe suicidato per una pena d’amore…
Questione di interpretazioni.
Io considero mio figlio vittima anche di pregiudizio.
Il vero problema, infatti, è in un’ignoranza culturale che rema contro le diversità di ogni genere e gli omosessuali ne sono l’espressione più bersagliata.
Questo perché viviamo in un sistema per cui se non sei omologato ad un modello stereotipato sei diverso e se sei diverso sei “frocio”.
Certamente bisogna partire da una massiccia campagna educativa e preventiva che parta già dalle scuole dell’infanzia e che sia sostenuta dalle famiglie con atteggiamenti collaborativi in tal senso. L’ostracismo verso il riconoscimento e l’accettazione dell’esistenza di modelli familiari alternativi a quello tradizionale deve cadere.
E un intervento legislativo che punisca determinate condotte - lesive delle altrui libertà personali - come costitutive di una specificità di tipologie di reato, nella sua finalità repressiva, può essere propulsiva a quel miglioramento culturale che vede nelle diversità, di ogni genere, elementi di arricchimento.
Io mi batto per dare un senso alla morte di mio figlio ed, egoisticamente, di questo ne ho fatto uno scopo della vita che mi resta.
Cercando di andare avanti al meglio che posso e per come posso, anche a volermi riscattare da quel senso di colpa che mi accompagnerà a vita e che mi accomuna ai sopravvissuti dei familiari delle vittime suicida.
Per non aver intuito - e quindi anche evitato - ciò che è stato e sarà per sempre… un tragico ed irreparabile evento!
Teresa Manes
Teresa Manes ha raccontato la storia di suo figlio nel libro Andrea, oltre il pantalone rosa Ed. Grauseditore. Un manifesto contro il bullismo e l'indifferenza.