Sono trascorse quattro settimane da quel venerdì mattina, da quella telefonata mentre correvo per andare al lavoro, in ritardo come sempre; all'improvviso il fiatone mi si è fermato in gola, decine di immagini mi sono passate davanti in un solo istante e il mio pensiero a un certo punto si è fermato su quante volte avevo immaginato come sarebbe stato quel momento e come avrei reagito a quella notizia.
Di quel venerdì ricordo la corsa contro il tempo dei preparativi frenetici per organizzare il viaggio verso quel paese a 1500 chilometri di distanza dal nostro. Il fermento che sentivo in fondo al cuore non lo dimenticherò mai; da un lato mi accompagnava il desiderio e la gioia di rivedere i miei cari, dall'altro il dolore acuto mi strozzava il respiro e mi ricordava il vero motivo di quel triste pellegrinaggio.
Durante il viaggio mi tornarono in mente tanti episodi vissuti da bambina a casa dei nonni. Avevo 5 anni quando ci sedevamo sui gradini della scala e lui mi insegnava a fischiettare, mentre la nonna ci cucinava la pasta fresca fatta in casa. Mi portava all'asilo e poi veniva a riprendermi e durante il tragitto mi chiedeva: "Allora quanti tortellini vuoi mangiare oggi?".
Nelle vacanze estive appena chiudevano le scuole, io e mia sorella partivamo in treno per il paese. Il nonno ci raccontava tante storie vissute nei campi di prigionia in Germania ai tempi della guerra, tanti aneddoti li traduceva in tedesco, raccontava con ironia e con il sorriso quei periodi difficili quasi per renderli migliori. Era di poche parole: quando voleva nascondere qualcosa alla nonna, mi faceva l'occhiolino come per stringere un patto e diventare complici. L'affetto che mi legava ai nonni era qualcosa di magico come l'amore che c'era tra di loro durato ben 72 anni. Persino quando litigavano sembravano farlo per gioco, mi divertivo un mondo a guardarli.
Il viaggio di ritorno mi è sembrato particolarmente lungo: guardavo mia madre, sembrava più sollevata come voler ringraziare il cielo di essere riuscita a salutare per l'ultima volta suo padre. Io mi sentivo avvolta dalla consapevolezza che quella ormai era la realtà, una realtà che mi sussurrava che niente sarebbe stato più come prima. La frase che cominciava con " i nonni..." non l'avrei più pronunciata: lui non c'era più.
Ora restava solo tanto dolore e tristezza scolpiti negli occhi di mia nonna, quegli occhi che un tempo scintillavano d'amore per il compagno di un'intera vita.
Nutro un profondo rispetto per gli anziani che meritano una vita dignitosa ma soprattutto di NON sentirsi soli e inutili. Ma la nostra società purtroppo ci insegna che anche se siamo circondati da figli, nipoti e parenti, non c'è limite alla solitudine umana, è una società che con le sue regole non dà agli anziani il giusto peso e importanza.
Adesso io mi chiedo: c'è qualcosa che io posso fare, a tanti chilometri di distanza, per alleviare il tormento inconsolabile di mia nonna?
Isabella
L'opinione