Storie di mammeSono una ragazza 27enne peruviana, ho una bellissima figlia di due anni che cresco da sola. Sto scrivendo col cuore in mano e le lacrime agli occhi. Per me è difficile ricordare gli anni delle violenze subite da parte del mio ex compagno, il padre di mia figlia.
Tutto iniziò nel 2009. Ero amica di suo fratello e quando lo conobbi fu amore a prima vista. Era il mio principe azzurro: mi faceva sentire sicura, protetta, amata. Perfetto!

Dopo alcuni mesi il mio principe iniziò a deludermi, era geloso e ossessivo. In tante occasioni provai a lasciarlo, ma le sue lacrime di pentimento sembravano così vere! Mi giurava di cambiare, e io gli credevo. Dopo due anni andammo a vivere a casa di una sua zia, che ci affittò una stanza. Quella casa diventò la mia prigione e il mio principe divenne un orco. Mi portava in cantina per picchiarmi e io ci andavo, pensavo “non lo farà! Lo abbraccerò e tutta quella rabbia passerà!”. Invece niente.
Lui mi raccontava di suo padre che da piccolo lo picchiava. Io volevo dimostrargli che l’amavo e che ci sarei stata sempre per lui. Cercavo di capirlo e finivo sempre per perdonarlo. Dopo alcuni mesi lui andò via per lavoro. Ero decisa su consiglio di un’amica a lasciarlo, ma dopo i soliti pianti, ancora una volta lo perdonai. Dopo un paio di mesi, andammo a vivere da soli. Tutto sembrava andare bene all’inizio, invece tutto tornò come prima: un altro anno e mezzo di botte.
Volevo avere un bambino. Lui no, ma il 17/01/2013 dopo avergli fatto una festicciola a sorpresa, mi disse che avrebbe fatto un figlio con me, così se un giorno l’avessi lasciato, il bambino sarebbe stato il marchio che c’era stato lui prima di chiunque altro. Quella notte facemmo l’amore e rimasi incinta.

Il giorno seguente tornò a casa con la pillola del giorno dopo. Era già successo in precedenza quando avevo dimenticato di prendere gli anticoncezionali, ma entrambe le volte avevo solo fatto finta di prenderle. Quel giorno la presi. Dopo tre settimane mi sentivo strana, feci il test, anzi ne feci due. Esito: POSITIVO! Non sapevo se essere felice o triste.
Lui voleva farmi abortire e io mi rifiutai. Davanti alla mia determinazione, mi disse che c’era un centro in cui aiutavano le donne incinte in difficoltà e se ci avessero aiutato lo avremmo tenuto.
E così fu. I giorni passavano e io ero sempre più triste e sola. Non potevo parlare con nessuno, mi aveva cancellato tutti i numeri della rubrica telefonica. Lui, invece, come non aveva mai fatto, se ne andava in giro solo, a volte dormiva fuori, e se provavo a chiedere spiegazioni mi arrivavano schiaffi e botte. Nonostante tutto riusciva sempre a farmi sentire in colpa, ero io la gelosa, io la possessiva.

Ero arrivata al settimo mese di gravidanza, il mio pancione era sempre più grande e adoravo parlare con mia figlia, sì ormai sapevo che avevo una femminuccia. Un giorno lui dimenticò a casa uno dei due telefoni, che portava sempre con sé e custodiva gelosamente. Avevo bisogno di capire se ero io la malata o se lui nascondeva qualcosa. Mi misi a cercare il codice Pin del cellulare e lo trovai. In quel momento mi pentii di aver preso e acceso il telefono: c'erano tutte le sue porcate, foto di donne nude, foto delle ragazze con cui mi tradiva, foto di lui con altre donne e messaggi ad altre donne.
Mi sentivo stupida, volevo solo andarmene da lì. Portare il mio pancione, mia figlia, in un qualunque posto, ma lontano da lui. Quando mi chiamò per dirmi che stava tornando a casa, gli dissi che avevo voglia di un gelato e di aspettarmi al parco sotto casa, perché avevo paura della sua reazione visto che volevo parlargli di quello che avevo scoperto. Non volevo farlo in casa, sola con lui. Appena gli feci vedere il telefonino, mi trascinò per il braccio a casa. La gente mi guardava, avrei dovuto chiedere aiuto ma non riuscivo a farlo. A casa, mi buttò per terra, mi tirò i capelli e mi disse che era tutta colpa mia, perché non dovevo permettermi di prendere le sue cose e che ne avrei subito le conseguenze: dovevo andarmene via e non tornare più. Ma poco dopo, giurò che le cose che avevo visto sul telefonino non significavano nulla e che da quando ero incinta non aveva avuto più storie, perché lui ci teneva alla sua famiglia.

Per l’ennesima volta lo perdonai, nonostante tutto. Ma mi sembrava di vivere insieme a uno sconosciuto, non riuscivo a togliere quelle immagini della mia testa e lui continuava con le sue violenze.
Ero stufa ma non sapevo a chi chiedere aiuto. A causa della sua gelosia avevo chiuso ogni rapporto con tutti. Avevo paura per me e per mia figlia. Lui mi minacciava: diceva che se lo avessi lasciato, sarebbe venuto a trovarmi in Perù e avrebbe fatto del male a me e alla mia famiglia.
Per la prima volta senti che il mio amore stavo svanendo. Ma non sapevo come allontanarmi.
Alla mia famiglia avevo nascosto tutto. Non ero mai andata d'accordo con mio padre, non ero neppure cresciuta con lui, ma piano piano ripresi i contatti, anche perché viveva in Italia. Lui a mio padre stava simpatico, del resto con gli altri era adorabile, perfetto, era simpatico a tutti.
Finalmente arrivò il giorno della nascita di mia figlia. Quel giorno chiamai mio padre e le mie sorellastre. Eccola finalmente la mia bellissima bimba tra le mie braccia! Scoppiai a piangere! A casa il primo giorno, lui cucinò. Il secondo giorno mentre allattavo, mi disse che lo stavo trascurando. Mi prese per i capelli e mi trascinò in cucina a cucinare. Avevo dei dolori fortissimi, ma a lui non importava. In quei primi mesi di vita di mia figlia non ho mai goduto di un momento di serenità con lei. Non ho ricordi di momenti felici. Anche davanti alla piccola mi maltrattava.
Il giorno che mai dimenticherò è quando lei aveva 7 mesi e le stavo dando la prima pappa. Lui arrivò arrabbiato dal lavoro e vedendo che non c'era niente da mangiare mi prese per i capelli davanti alla bimba. La piccola scoppiò a piangere in modo disperato.


Quel giorno ho giurato che mia figlia non avrebbe dovuto passare quello che avevo passato io, perché anch'io da piccola ero stata testimone di violenze e credo che sia per questo che il comportamento del mio compagno mi sembrava "normale". Il giorno dopo chiamai mio padre e gli raccontai tra le lacrime che lui mi insultava e che ero sicura che mi tradiva. Papà mi disse che domani l’avrebbe chiamato per incontrarlo al bar, e nel frattempo io dovevo preparare una borsa con dei pannolini e un almeno un cambio per la piccola. A mio padre il mio compagno negò tutto. Papà gli disse: “Saresti un cane se tradisci la donna che ti ha appena dato una figlia”. “Ora porto a pranzo mia figlia così parliamo un po’ e dopo la riaccompagno a casa”.

Quel giorno fu il più triste della mia vita, era l’8 maggio 2014. Ma era un dolore necessario, da quel dolore dovevo trovare l'uscita dal buco nero in cui mi trovavo da anni.
Non raccontai a mio padre delle violenze di cui ero stata vittima, ero sicura che se lo avesse saputo gli avrebbe spaccato la faccia. Andammo in un parco, abbracciai la mia piccina, così simile a lui. Mio padre mi chiese se fossi sicura di quello che stavo facendo. Chiamai il mio, ormai, ex compagno e gli chiesi di portarsi via le sue cose entro la sera. Mi supplicò di perdonarlo, mi chiese di non distruggere “la nostra famiglia”. Gli risposi che non ne potevo più e che avevo mio padre al mio fianco. Poi spensi il cellulare. Dopo due ore lo accesi e trovai un sacco di messaggi. Mi chiamò ancora. Mi implorò di perdonarlo. Mi sentivo male, in colpa, ma poi guardai mia figlia e pensai che stavo facendo la cosa giusta, non solo per me, ma per lei, perché non meritava di vivere nel mio inferno. Se ne andò di casa. Cambiai la serratura. E andai da una delle mie sorellastre.
I giorni passavano, non c'era giorno in cui lui non mi chiamasse. Mi chiedeva di mandargli le foto di mia figlia a ogni ora. Lo facevo, ma poi quando gli mandai la foto della bambina a casa di mia sorella lui mi chiese dov'ero perché quella non era la nostra casa, in quel momento capii che mi chiedeva le foto solo per sapere dove fossi.

Dopo la nascita della bimba lui aveva preso il mio posto (facevo la badante privata) in una casa di riposo per anziani, mi diceva che dovevo riposarmi e crescere la bimba. Dopo la separazione avevo bisogno di lavorare e sono ritornata alla casa di riposo, ma avevo il terrore di incontrarlo. Perché davanti ad un’altra richiesta di perdono, in quel periodo, probabilmente avrei ceduto.
Alla casa di riposo iniziai a fare amicizia con le colleghe ed alcuni operatori. Non avevo più soldi per pagare l'affitto e mio padre non mi dava un centesimo. Conoscevo tante persone e decisi di preparare del cibo peruviano. Il sabato portavo il cibo al lavoro e lo vendevo nei contenitori monouso. Così riuscivo almeno a pagare le spese per la casa. Mi inventavo cose da fare ogni giorno, perché il lavoro scarseggiava, e la bambina aveva bisogno di mangiare.
Intanto suo padre chiamava di meno. Un giorno lo rividi vicino alla fermata del pullman. Era con un’altra, una che lavorava nella casa di riposo. Al momento non piansi ma, una volta al lavoro, esplosi. Quel giorno di fine luglio mi raccontarono tutta la verità. Lui stava con questa donna da febbraio ed era questo il motivo per il quale non voleva che ritornassi a lavorare.

Sono stati dei mesi duri per me. Il sabato continuavo a preparare i pranzi peruviani per i miei amici. Mi dividevo fra la bambina, la casa e il lavoro. Finalmente a ottobre riuscii a fare la festa di compleanno, il primo anno di mia figlia. Feci tutto io, dalle decorazioni agli inviti. Le mie amiche mi aiutarono tantissimo. Una mi aiutò a comprare la torta, un'altra mi fece da animatrice. Non c'erano tante persone, ma c'erano quelli che contavano davvero.
Se ho deciso di raccontare questa storia non è per fare del male al mio ex, tanto nessuno lo può riconoscere. Ho deciso di scrivere perché se qualcuna sta passando le stesse cose che ho vissuto io, si renda conto che la luce in fondo al tunnel si raggiunge solo con tanta forza di volontà, con coraggio e determinazione. Tornare indietro è difficile perché FA MALE. Però poi tutto passa. E soprattutto ricordatevi: "se vi ama, non vi picchia". Una persona violenta non cambia mai, anche se piange e chiede perdono. Adesso lui ha un altro figlio e questo la dice lunga sul suo amore per me!
Io vado avanti da sola con mia figlia, ho un lavoro stabile e grazie a Dio non ci manca l'indispensabile. Sono fiera di quello che ho fatto perché un figlio bisogna farlo crescere senza violenza, altrimenti un giorno sarà lui il violento o subirà la violenza. Crescerlo da soli è difficile ma si riesce.

Intanto mi godo ciò che per me è vitale: mia figlia, perché ogni cosa nuova che fa mi riempie di gioia e di orgoglio. Tutte le mie fatiche sono per lei. Lei è il motore della mia vita e ringrazio il cielo che nonostante la pillola del giorno dopo, adesso lei è qui con me e per lei ho trovato il coraggio di lasciare la persona che più mi ha fatto male in questo mondo ma che ho amato con tutta l'anima. Ogni volta che tu MAMMA ti senti male, abbraccia tuo figlio, quando senti di non farcela, guardalo negli occhi e capirai quanto quel pezzo di te abbia bisogno della mamma.

Karen

 

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